Le "serie" di videogiochi hanno appeal sulla gen Z?
Tra smartphone e Live Services il mondo del gaming è completamente cambiato rispetto a quello di 20 anni fa: le serie con 20mila capitoli hanno più senso?
Quando ero un ragazzino le estati per me erano un grande momento di svago: non signficavano solo uscite con gli amici anche di mattina, ma anche quel tempo in più per poter attaccare le vecchie console e confrontarmi con i giochi che in passato non ero riuscito a finire.
Ma i miei progetti per l’estate non finivano qui: attendevo l’E3 con una trepidazione assurda, al punto che quando a fine mese uscivano le riviste, mi fiondavo e sostanzialmente le compravo tutte.
Era un momento in cui, in qualche maniera potevo assaggiare il futuro e in qualche modo quelle letture mi facevano venire voglia di crescere, anche solo per godermi quelle perle che dovevano uscire.
Il 2004 per me fu un’estate magnifica: avevo stretto dei legami quasi di fratellanza con i miei nuovi amici e quell’E3 avevano annunciato il terzo Metal Gear Solid.
Ricordo come fosse ieri il poster incluso su PSM, che ho attaccato immediatamente sopra il divanetto in camera mia.
Avevo appena finito il primo a difficoltà facile, e giocai pochissimo al secondo: non era mio, ma di un amico e non ho mai fatto in tempo a finirlo.
Lo trovavo anche molto difficile e in qualche modo, sia il protagonista che i cattivi non mi avevano preso, nonostante apprezzassi gli interni della big shell.
Tuttavia, tra il ritorno di Snake e la giungla e quel filtro giallognolo della visuale, in qualche modo mi ricordavano l’A-Team, serie tv che avevo iniziato ad apprezzare poco dopo dell’esame di quinta elementare.
Se l’aspettare un gioco ci rievoca così tanti ricordi, non c’è proprio niente da fare: siamo figli dell’hype.
A proposito di aspettative, mi sono domandato di come il capitalismo, in un certo qual senso, abbia finito per ignorare bellamente questo meccanismo e a proporre ai giovani servizi che stanno lì, nel corso del tempo.
Fortnite, Apex Legend, Minecraft e tutta la compagnia cantante dei Game as Service non ha bisogno di hype in senso stretto.
Questi prodotti sono dei colossi che generano utile e introiti impressionanti ogni giorno, coinvolgendo sempre più persone che vogliono provare le nuove modalità di gioco.
Se pensiamo che Fortnite ha una modalità simil-Rock Band capiamo che non si può parlare più solo di Battle Royale, ma di un servizio che mette a disposizione diverse modalità di gioco completamente differenti tra loro.
Badate bene, non sto dicendo che di colpo l’hype per i nuovi giochi sia scomparso, ma che anche questo sia targettizzato verso persone più grandi: noi, che siamo cresciuti di anno in anno con nuove iterazioni di Fifa e Call of Duty siamo proni a cadere in questa macchina, specie quando ci sono ritorni importanti come quelli di Dragon Ball: Sparking! ZERO o di Dragon Age: The Veilguard.
Sono serie legate alla nostra infanzia o adolescenza e il solo sentirne il nome ci trasmette una certa gioia e serenità, rievocando ricordi di quando magari eravamo nella stessa stanza e ci picchiavamo con Gogeta e Gohan ssj2.
Aspettiamo con trepidazione videogiochi, in particolare quelli single player perché sappiamo che ci possono regalare qualcosa in termini di emozioni o di gameplay che sembrano mancarci.
Ma se facessero un Metal Gear Solid VI e il “core” del gioco rimanesse sempre quello nel corso degli anni, con qualche sporadico updates di trama e lore proveremo lo stesso hype che ci provocherebbe l’annuncio di un nuovo titolo? Probabilmente no.
Ho la sensazione che la macchina dell’hype si stia autosabotando in quanto siamo anestetizzati da una quantità soverchiante di contenuti: tra il Gamepass, offerte di Steam, serie tv e anime è difficile sviluppare un hype che non ti consenta di pensare ad altro se non a quel gioco, al punto da generare ricordi al pensare all’attesa di quel titolo.
Forse sono i trent’anni e ho trecentomila grilli per la testa, o forse semplicemente il mondo ormai è diverso, però sapere che i giovani non avranno mai un “Fortnite 2” ma una season nuova, un po’ mi rattrista.
Ma sono un vecchio scorreggione che deve lamentarsi di tutto, sia dell’hype per i titoli che dell’assenza di hype; sopportatemi così, che vi voglio bene.
Scusate per il substack risicatissimo e con un argomento forse scontatino: è stata una settimana molto faticosa lavorativamente parlando. Vi risparmio i dettagli noiosi, ma non avevo la forza di far altro se non quella di dormire subito dopo aver staccato. Come sempre, un grazie LETTERALMENTE GARGANTUESCO a Pietro Riparbelli che nonostante sia impegnatissimo anche lui, riesce sempre a trovare quella mezz’oretta per leggere e correggere tutto. Sul serio, grazie. Forse tra le due parole messe in maiuscolo ci sarà qualcosa che gli darà molto fastidio, e sarà l’unico errore che non correggerò.