Ragazz* facciamoci coraggio: 2/3 dell’estate sono quasi finiti.
A Settembre si spera che le temperature ritornino normali, che questo caldo asfissiante lasci il passo a un tiepido venticello che dipingerà le strade alberate del colore bruno tipico delle foglie appassite: non vedo l’ora di sentire quell’odore di funghi e acqua, che anticipa di poco il fresco.
Prima di meritarci temperature più clementi, deve passare Agosto che, per buona parte degli italiani lavoratori, corrisponde a un periodo di ferie, mare, bruciature, colpi di sole, imbottigliamenti del traffico e conseguenti nevrosi.
Prima che la sabbia ci entri nel costume, bisogna preparare la valigia per partire e qual è, secondo voi, la cosa che non può mai mancare nei miei bagagli?
Proprio loro, i videogiochi.
Superati stereotipi additano le donne come quelle tronfie di bagagli ricchi di vestiti e trucchi, non mi sento di essere da meno: non tanto per l’ingombro fisico in sé delle cose che mi porto dietro, dopotutto un pc, una Steamdeck e l’Analogue Pocket sono sufficientemente piccoli da entrare tutti nella stessa borsa, ma perché non riuscirò mai a giocare tutti i giochi all’interno delle loro memorie fisiche.
Da Venerdì a Domenica sarò in una località marittima qui vicina, Montalto di Castro Orvieto Beach e sono sicuro di portarmi più videogiochi di quanti possa fisicamente giocarli: mentre il resto della famiglia va al mare, io mi limito a osservare la spiaggia col binocolo, poi tiro fuori una console e via, a giocare coi videogiochi.
Anche in tempi passati, quando abitavo a Rieti e tornavamo a Orvieto per visitare i parenti, avevo delle preparazioni e dei rituali simili: mi portavo dietro la PSP con 5/6 giochi e con una playlist musicale all’epoca sconfinata (tipo 30 canzoni) per combattere una noia che poi non faceva mai capolino.
Non avevo tempo di giocare molto, perché tra amici e parenti la PSP poi la lasciavo a casa.
Le console portatili sono un po’ la mia isola sicura: me le porto sempre dietro, perché mi fanno sentire tranquillo e, se prima creavo playlist musicali, adesso mi diverto a fare selection di giochi da viaggio.
Passo un’intera giornata a decidere quali giochi scaricare da portare a mare, quei giochi che magari per me si sposano bene alla vacanza, magari che siano compatibili con giocate rapide e che non richiedano di fare chilometri tra un salvataggio e l’altro (cosa che mi sta succedendo con Kingdom Hearts: chain of Memories e mi sta un po’ alterando).
Passo ore a inzeppare il Pocket di titoli vecchi che poi non giocherò mai per via del poco tempo che alla fine della fiera dedicherò all’incredibile consolina di Analogue.
Così come, in questo momento sto infarcendo Steam Deck di titoli PS2 e Gamecube da giocare.
L’estate mi viene voglia di attaccare le vecchie console alla tv e di giocarci al caldo, ripensando ai giorni passati e a come alcuni di quei giochi siano divertenti tutt’oggi.
Perché questo avvenga spesso d’estate, non lo so: o meglio forse, scavando nella mia memoria, il motivo c’è.
Quando ero piccolo e andavo a scuola, giocavo con le ultime console che avevo: tra un Dragon Quet VIII, uno Zone of the Enders 2, Tony Hawk’s Underground 2 e WWE Here comes the Pain non sentivo il bisogno di riattaccare la ps1 alla tv e giocarmi qualche vecchio gioco che avevo visto di sfuggita gli anni precedenti mentre mio padre si divertiva a bestemmiare contro i pad perché non era capace a passare quel segmento di gioco.
Il confronto con il “me stesso” ludico del passato, avveniva sempre in estate: avevo più tempo libero e attaccare due fili in più alla tv di camera mia non mi pesava poi così tanto e così ho avuto la gioia di giocare a Castlevania: Symphony of the Night, Worms oppure finire per la prima volta Metal Gear Solid da solo, capendoci quantomeno un minimo di quello che accadeva.
Non sempre però finivo quei giochi, penso che il Castlevania per PS1 l’abbia finito per la prima volta su PSP alle superiori, tra un’ora di buco e l’altra, però la fascinazione per quei titoli al 99% dei casi piratati, era molta.
Trovo in questo comportamento un pattern che si ripete nel corso del tempo e che sono avulso a respingere: a 30 anni, mi ritrovo molto spesso a iniziare giochi e a non finirli, rincorso da un backlog eterno che probabilmente inizia dalla tenera età fino ad arrivare alla maggior età, in cui continuo costantemente a comprare giochi senza che abbia il minimo tempo per giocarli e finirli tutti.
Figurarsi poi ora, che mi hanno confermato il lavoro full time a tempo indeterminato.
The First Summer Break: Epilogue
Ma com’è andata a finire, poi al mare? Che ho portato Analogue Pocket, Steam Deck e il PC portatile e ho giocato solo con il computerino di Valve, a Mullet MadJack.
L’FPS di Hummer95 Studios è il titolo perfetto per l’estate: stilisticamente ricorda un OAV Cyberpunk degli anni 90 con rocambolesche fughe verso il traguardo.
Se siete dei finti vecchi come me, ricorderete sicuramente che nell’era PS1/ inizio PS2 c’era la bislacca moda di inserire dei segmenti in cui tutto stava per esplodere e si aveva un tempo limite per uscire da qualsivoglia luogo possiate immaginare: bene, Mullet MadJack prende quei momenti di ansia e li riempie con una struttura da roguelike.
Nel gioco non abbiamo una barra della vita, ma soltanto uno smartphone che ci ricorda quanti secondi mancano alla nostra morte: ogni volta che i robot nemici ci colpiscono, il nostro timer cala più in fretta, ma è anche vero che se riusciamo ad ucciderli, la barra dei secondi a nostra disposizione si ricarica.
L’arsenale mi ha ricordato da vicino quello di Quake: tra unRailgun, il Plasmagun, L’intramontabile Fucile a Pompa e anche delle spade, il gioco sa differenziare sufficientemente ogni partita.
Non sono tipo da FPS, anzi, devo dire che non so proprio giocarci, ma il fatto che le partite durino poco, unito a uno stile che mi cattura ogni volta che lo vedo, mi ha reso piacevoli le calde mattine senza refrigerio della casa al mare: quantomeno sfogavo la mia frustrazione dovuta ai condizionatori rotti, sui robot della Peaceful Corporation, in uno scenario Cyberpunk che pesca a piene mani sia dagli anni ‘90, che dalla modernità.
Un bel gioco, leggero, nonostante le frequenti morti, di quelli che alla fin fine, ti diverti a giocare un po’ ovunque perché il ritmo è talmente serrato che una partita la chiudi in massimo 10 minuti.
Un gioco distopico, che un po’ mi ha ricordato Mad World, una delle prime perle di Platinum Games: Mullet MadJack è narrato come se stessimo guardando uno streaming di qualcuno che sta reactando a un video o a un’altra diretta, con tanto di commentatrice che farà battutine a ogni nostra morte o successo.
Ho giocato questo titolo nel momento giusto, perché nel frattempo è uscito su youtube un prodotto che mi ha imbarazzato e mi ha fatto sentire sporco.
Amo il Giappone, amo la cultura giapponese e i videogiochi sin da quando ho memoria, da quando a 3 anni gioivo vedendo la bandiera giapponese perché mi ricordava un pallone, la mia ossessione dell’epoca.
Vedere un prodotto intriso di sessismo, con redazionali sui videogiochi rubati direttamente da Wikipedia, con un montaggio e un ritmo pessimo mi ha intristito molto.
A me un po’ dispiace, perché è l’emblema che in Italia saremo sempre destinati a contenuti di serie B, perché chi magari ha i soldi per realizzare questo genere di produzioni, cerca sempre di appoggiare quella più becera e che punta alla pancia.
A volte mi domando: “se avessi un budget del genere, come lo spenderei per fare contenuto valido?” A essere del tutto sinceri, la risposta non ce l’ho.
Se avessi dei soldi da spendere per un video su Youtube lungo quanto una puntata di un anime fatto bene, probabilmente sarei un’altra persona che magari deciderebbe di investire quel denaro in altre cose ben più profittevoli.
O forse, farei i miei video con Blackjack e Squillo di lusso, proprio come ha fatto questa persona.
Vorrei provare a offrire la mia penna per questo genere di cose, alla fine penso che se qualcuno ha provato a fare una roba del genere, sicuramente condivide una passione grande quanto la mia per i videogiochi, ma la paura di non essere pagato o che il mio lavoro non venga riconosciuto né rispettato mi fa desistere, facendo riemergere l’amaro in bocca dell’espresso che ho bevuto stamattina.
Sto ancora rosicando per i 60€ usciti per Mad World (che è bellino, ma ero povero e il full price anche no).
Comunque sono abbastanza sicuro che se fossimo figli di un altro background e avessimo soldi da buttare nella produzione di contenuti lo faremmo con un'ottica di capitale e non con una qualitativa, quindi forse tutto sommato essere poracci e provarci senza budget