23 anni di PS2
Il monolite nero di Sony compie 23 anni: perché limitarsi a ricordare i giochi che conosciamo tuttə?
23 anni fa il mondo era completamente diverso: la banda larga era ancora qualcosa per pochi e l’informazione passava principalmente per TV e giornali.
Ero un ragazzino di 7 anni che disegnava Crash e le casse di TNT sul diario di scuola. Sulle riviste che abitualmente mio nonno comprava e piazzava in pizzeria, c'era scritto che a breve sarebbe uscita la PS2, ma che sarebbe costata un milione di lire: una cifra improponibile per un ragazzino che aveva appena iniziato la seconda elementare. Eppure, spinto anche dalla passione del padre, ho raggiunto quella cifra il giorno dell’uscita grazie alle mancette dei miei parenti. A differenza di quanto si possa immaginare, non erano presenti file incredibili né tantomeno sistemi arzigogolati di prenotazione: vivo in una piccola cittadina in cui c'era soltanto un giocattolaio che trattava videogiochi, non c'era poi tutto questo smercio. Ricordo che fui il primo a comprare la PS2 tra i miei amici: mio padre fomentato dal Gladiatore, prese anche il DVD e il telecomando. Io invece, ero in trepidante attesa di Tekken Tag Tournament che giocavo al bar ormai dall’estate precedente. Escludendo Tekken 7, se dovessi parlarvi del mio gioco preferito della serie Namco probabilmente sarei indeciso tra il tre e questo. Ma visto quanto mi divertii col Tekken Bowl, probabilmente il Tag Tournament è il mio preferito.
PS2 è stata una mia fedelissima compagna di avventure: siamo cresciuti insieme e giochi come Kingdom Hearts, Dragon Quest, Zone of the Enders e Metal Gear Solid 3 sono stati lo sfondo della mia preadolescenza: in qualche modo, questi giochi mi hanno plasmato, probabilmente influenzando anche la mia crescita caratteriale.
Sarebbe facile comunque parlare di PlayStation 2 e citare i titoli che hanno fatto la storia: quelli che, alla fine della fiera, possiamo ritrovare anche su console moderne e che bene o male abbiamo giocato tuttə. Presi da un forte attacco nostalgico, potremmo parlare indubbiamente di quanto fossero belli Metal Gear Solid 2 e 3, i Silent Hill, o la roba del Team Ico: ma sarebbe troppo facile. Anche perché PS2 era un fenomeno incredibile, è stata in grado di monopolizzare il mercato e di annichilire la concorrenza. Diciamocela tutta: il fatto che avesse fatto così tanto successo con un hardware veramente incasinato da comprendere, ha fatto sì che alcuni sviluppatori si dedicassero totalmente a questa macchina, alzando vertiginosamente il numero di esclusive del monolite nero di Sony.

È per questo, dicevo, che parlare dei soliti nomi noti è facile, ma si ignorerebbero alcuni titoli mai pubblicati in occidente. È troppo facile parlare di PS2 senza ricordare che da noi Hungry Ghosts non è mai arrivato. Questo titolo, sviluppato da Deep Space dopo Extermination, è quanto di più vicino ci possa essere a un King's Field di From Software ma ideato da quel genio di Tokuro Fujiwara: proprio lui, quello di Ghost and Goblins.
Il titolo del gioco, racchiude probabilmente il segreto stesso del motivo per cui non è stato pubblicato da noi.
I “Fantasmi Affamati” nel buddhismo e nel taoismo (ma in realtà in molte altre religioni dell'Asia), sono delle creature insaziabili per via dei loro comportamenti peccaminosi che hanno tenuto nella loro vita terrena.
Spesso sono descritti come degli spiriti guidati dalla rabbia e dal desiderio, spinti dalla ricerca continua di nutrimento: alcuni nonostante mangino, non riescono a percepire il senso di sazietà, altri sono affamati perché non riescono a trovare cibo o acqua.
Hungry Ghosts è un titolo completamente in lingua giapponese, dunque capire a che tipo di mitologia si rifaccia è un pochino difficile: sicuramente sono spiriti del culto buddhista, ma non avendo ancora una traduzione amatoriale è un po' un bordello capire cose.
Comunque, le anime fameliche in Giappone sono divise in Gaki, che si nutrono di escrementi vari e in Jikininki che divorano corpi umani: insomma, come potete capire, il contesto metafisico lo fa apparire un gioco tutt’altro che allegro.
La produzione del 2003 di Tokuro Fujiwara utilizza una visuale in prima persona per fare giocare l’utente.
Nel gioco impersoneremo l'anima di un guerriero che ha ucciso molte persone in guerra e che ha praticamente sterminato anche un villaggio di innocenti: per questo il nostro caro amico Caronte (o chi per lui, nella tradizione buddhista) ci sta traghettando in un luogo in cui si aggirano delle anime spietate e affamate.

Per qualche ragione sconosciuta, l’avatar del protagonista ha ancora il controllo delle sue pulsioni e se riesce a placare queste anime, probabilmente il giudizio finale cambierà.
L’impostazione dei comandi è molto simile a quella di un King's Field, tuttavia è interessante l’utilizzo della levetta analogica destra, che non servirà per girare la visuale, ma per interagire con l’ambiente.
Nello strano titolo horror di Fujiwara, dovremo anche combattere dei mostri, ed è lì che il sistema di battaglia vi farà innamorare: con quadrato cambiate arma, mentre con lo Stick analogico dovrete fare dei movimenti per attaccare con armi differenti.
Ogni utensile da danno ha praticamente un movimento differente e questo rende il gioco molto interessante, anche se forse ruotare la telecamera con le freccette fa un po' bestemmiare.
Non essendo davanti a un FPS però, ma a qualcosa che somiglia a una sorta di dungeon crawler action, devo dire che la cosa non pesa molto.
Il titolo è molto lineare e alla fine della fiera, se sietə interessatə potete anche giocarlo in giapponese, sappiate che questo titolo vi conquisterà con uno stile gotico parzialmente ispirato a Lovecraft e all’iconografia buddhista.

Ovviamente, Hungry Ghosts non è stato mai pubblicato da noi perché tratta temi spiritici particolari e un adattamento del gioco non sarebbe stato semplice: probabilmente avrebbe acceso polemiche anche più grandi di quelle che in seguito ha generato Rule of Rose.
Grazie all’evoluzione delle tecnologie, oggi una traduzione forse sarebbe possibile: il mondo non è più isolato come un tempo e reperire informazioni che chiarificano aspetti spiritici di tradizioni differenti non è difficile come poteva esserlo nel 2003.
Tornando a PlayStation 2, è facile parlarne con la nostra prospettiva, parlando di cose già giocate e ripensando a quanto la vita era più bella da giovani, ma la realtà è che a me piace scavare nella storia delle console e dei vari paesi, capire cosa è stato pubblicato e giocare quello che posso giocare.
Oggi su PCSX2 potete anche recuperare Boku no Natsuyasumi 2 in inglese, un gioco tranquillone e interessante se siete appassionati del mondo giapponese fino ad addentrarvi nella sua parte più bucolica e infantile: il titolo, ambientato nel 1975, vi mette nei panni di un ragazzino di 8 anni che va in vacanza in un paesino costiero del sud del Giappone.
Il nostro unico obiettivo sarà quello di catturare insetti, andare in bicicletta nuotare e fare nuove amicizie: un’esperienza tranquilla che potrebbe indubbiamente piacere ai fan di Animal Crossing.
Boku no Natsuyasumi è stata una serie di successo sul suolo nipponico, e questo capitolo è stato uno dei più apprezzati di sempre: ora che è disponibile una traduzione amatoriale in inglese potete immergervi in questo rilassante e ormai vecchio titolo.
Immagino che ieri siano usciti articoli in onore di PlayStation che tiravano fuori i soliti 4 titoli che hanno giocato tuttə: è scontato sia così.
Dopotutto i grandi portali scrivono per il SEO e non per arricchire le persone.
Trovo che sia decisamente più interessante scoprire il passato e portarlo alla luce, perché alcuni giochi in occidente non ci sono mai arrivati e meritano considerazione tanto quanto quelli che ce l’hanno fatta: per noi sono titoli completamente nuovi, strettamente legati a una cultura decisamente differente dalla nostra.
Quando si parla di console con un bel po’ di anni sul groppone, cercate sempre di scavare a fondo: piuttosto che rigiocarvi Okami per la decima volta, guardatevi intorno e scoprite roba che non avete mai giocato.
Ringrazio con tutto il cuore Fabio Corsini e Pietro Riparbelli per aver corretto l’articolo. Grazie ♥️
Mi piace come scrivi: semplice, comprensibile, ma con contenuto interessante, diverse volte ricco.
Però il meglio, secondo me, è il timbro personale che ci metti.
Ho fatto un sunto anche delle precedenti newsletter.