Il mio PC negli anni 2000
Pacione: tra forum e morrowind scopre un accattivante mondo pc che lo porta ad amare bethesda
In questa settimana mi è saltato di nuovo l’embolo per un paio di situazioni del mondo giornalistico del videogioco: più cresco, più mi rendo conto che da quando ero piccolo io, è andato tutto a puttane.
Probabilmente anche all’ora l’editoria che parlava di videogiochi non era rosa e fiori, ma comunque mi ricordo con affetto le news, le recensioni e un sacco di rubriche di approfondimento che amavo alla follia.
Come per esempio, quella di Andrea Babich per NRU in cui insegna ai lettori a fare minigiochi su Wario Ware D.I.Y.: ero già grandicello all’epoca, avrò avuto 16/17 anni, ma amavo imparare cose nuove e capire come avrei potuto migliorare i miei minigiochi ( e applicare le conoscenze ai miei vari progetti su RPG Maker XP)
Mi piacevano anche le rubriche dove gli utenti venivano sfidati a fare delle imprese e a inviarle alla redazione.
Ma, sul tramonto della generazione dominata da Playstation 2, stava avvenendo un cambiamento gigante e sconvolgente: le riviste cartacee soffrivano di una crisi dovuta dalla sempre più rilevante editoria web.
Scappati di casa principalmente, con un grosso cuore e voglia di scrivere di videogiochi a quante più persone possibile: inutile dire che ci hanno visto lunghissimo e che, nonostante l’iniziale ruvidezza del loro italiano, hanno perfezionato un modello editoriale che ancora oggi “funziona”.
Andando indietro nel tempo, bisognerebbe ricordarsi il perché quel tipo di comunicazione si è affermato e qual era la loro forza, poiché oggi in un mondo così dannatamente diverso, ce lo siamo dimenticati tutt3.
In quei giorni, il SEO esisteva, ma era quasi un mistero: non erano molti a padroneggiarlo e l’internet era praticamente appena nato, era un selvaggio west ricco di contenuti, legali e meno legali.
Ma se c’è una cosa che ha fatto affermare i tre siti italiani più grandi del mondo videoludico è stata l’affezione delle persone verso quelle firme e il modo più diretto di comunicazione verso essi.
Non c’è storia ragà, i forum funzionavano: ci si poteva relazionare sia con chi scriveva che con altri utenti, ci si poteva scambiare informazioni, conoscere nuovi giochi, parlare di altre passioni non inerenti al mondo videoludico.
Accrescere la propria cultura insieme agli altri scambiando opinioni e condividendo un briciolo della nostra vita vissuta.
Questo faceva sì che l’utenza si affezionava al sito, leggeva, commentava e discuteva con quelli che potevano essere definiti quasi amici di penna:
I miei primi contatti con l’internet li ho avuti lì, tra il forum di AAC (che era una community generica, in realtà) e il forum di Everyeye.
Mi chiamavo metaldrack e come propic di solito utilizzavo Gohan della saga di Cell.
Era ovviamente un modo di approcciarsi alla rete differente, io dopotutto ero poco più che un bambino, ma ricordo ardentemente che, oltre a comprare PSM ogni mese, leggevo le pagine di Everyeye, commentavo e leggevo quello che gli altri stavano giocando o aspettando.
L’utente era al primo posto e si formava quella che era una community che magari si raccomandava tra amic* appassionat* al bar.
Oggi, nonostante il forum di everyeye esista ancora, la situazione è cambiata, il SEO deve essere servito e riverito e richiede sacrifici: per essere visti da più persone, bisogna sacrificare i propri utenti affezionati.
Creare sempre più news di dubbia qualità, ficcarci dentro sponsor senza dirlo, pagare poco e niente i propri collaboratori è la prassi (in realtà era la prassi anche prima, per quanto riguarda il web).
E la cosa mi fa schifo.
Bisognerebbe ripartire dal forum, da uno spazio di comunicazione per commentare e fare community e rimettere al centro il lettore abituale, non quello che entra e esce dalla pagina mille volte.
Scusate il rant misto a nostalgia, ma proprio non riesco a digerire l’informazione del 2023, che non è più a misura d’uomo, ma di Google.
Aldilà di questo, oggi vorrei parlarvi del mio rapporto con il PC e dei giochi Bethesda.
Come ben sapete, mi manca un bel pezzo di storia videoludica che riguarda il PC: la mia storia pcisitica è iniziata con Windows XP.
Inoltre, mi preme dirvi che chi gestisce la campagna di social influencing in Bethesda mi ha regalato una chiave di Starfield: non che c’entri un cazzo con il Substack (l’ho portata su twitch venerdì sera), ma volevo essere chiaro sul fatto che la cosa mi ha ispirato.
Non voglio che poi mi si dica che sono un venduto. Per 60 euro poi, che pidocchio potrei essere?
Pacione e il mondo del PC
Avete presente quando parte il flashback nelle serie anni’80/’90 e c’è quella color correction, quella slavatura del contrasto che porta a sparare luci altissime e a rendere tutto eccessivamente morbido?
Bene visualizzo quei ricordi sul mio primo approccio al mondo del pc in quel modo: che poi ora che ci penso, nella mia mente la casa di zio si fonde con quella di Casa Vianello, vai a sapere perché.

Mio zio P., fratello del mio nonno materno, era un grandissimo appassionato di tecnologia e il primo pc che abbia mai visto, era suo.
Non ricordo se fosse un pc con il DOS, o se fosse un Commodore ma sono sicuro avesse i floppy disk e un gioco con un omino con la maglia blu che sparava vicino a un edificio grigio.
Ero affascinato da quell’aggeggio e dalla sua tastiera clickettosa: mi piaceva molto il suono di quei tasti.
Quel “TikTak TikTak” creava un suono soddisfacente per il piccolo Pacione, che più che interessato al gioco, era interessato alla tastiera, che era così vicina alla macchina da scrivere della mamma, che gli piaceva.
Ero molto piccolo all’epoca, non penso avessi ancora il Game Boy (dunque facevo ancora i bisogni nel pannolino), ma il pc ha continuato a non affascinarmi fino alle elementari, quando a scuola c’era un progetto per informatizzare i bambini.
Amavo fare i disegni con Paint e scrivere i “Pensierini” su quei pc, probabilmente molto vecchi, ma che sapevo utilizzare benone.
Mi appassionai alla tecnologia e al loro funzionamento e i miei decisero che era finalmente arrivato il momento di introdurre un PC dentro casa: sono abbastanza sicuro che la decisione fu presa d’estate, perché eravamo al campeggio sul lago dei miei zii.
Il cugino di mio padre gli diede un contatto di una persona che per lavoro montava i PC a Valentano, un piccolo paesino in provincia di Viterbo.
Questo tipo ricordava molto gli scienziati pazzi e aveva una strana passione per i componenti resistenti.
Non tanto per componenti che avrebbero resistito nel tempo per la loro potenza, ma proprio per il “Rugged” a prova di bimbo: si dice avesse due vere e proprie pesti a casa, dunque in automatico pensava che tutti i bambini fossero in quel modo.
Andai pure io con mio padre a parlare con l’esperto PC: io ovviamente rimasi in silenzio, le mie conoscenze venivano tutte da un paio di riviste che mio padre comprò e che leggevo al cesso, ma una volta assemblato il computer, non c’è stato bisogno di spiegare né come accenderlo né come fare alcune operazioni di setup.
Ero già pronto.
Per farvi capire quanto i pc siano arrivati tardi in vita mia, vi dico solo che avevamo uno schermo al plasma: era il 2001 e quello era uno degli ultimi modelli in commercio.
Col pc provai alcuni giochi, ma erano tutti abbastanza brutti: effettivamente li compravo al supermercato, ed erano tipo quelle collection oscene con minigiochi rifatti male.
Roba veramente pessima.
Tuttavia, l’interesse per quella macchina era rimasto intatto e iniziai ad amarlo sempre di più una volta che ci trasferimmo a Rieti.
In quegli anni ero decisamente più cosciente della tecnologia e delle possibilità che aveva il PC, e conoscevo anche il mondo dell’edicola.
Avevo scoperto Stronghold Crusader e altri giochi retail comprati da mio padre e dunque ben sapevo che quel clonazzo brutto di Super Mario non era lo standard dei videogiochi per pc.
Essendo un assiduo frequentatore dell’edicola sotto casa, ero ormai ben conscio di quella che poteva essere l’offerta di riviste sia di console che di PC: sapevo che c’erano dei giornali con cui regalavano videogiochi e che generalmente costavano il doppio dei vari PSM che compravo.
Il mio Playstation Magazine cascasse il mondo, non me lo toglieva nessuno, ma qualche volta mi concedevo il lusso di prendermi Giochi per il mio Computer.
Non tanto per la rivista in sé, che poi comunque mi leggevo nelle mie pause al bagno, quanto più per i giochi che allegavano.
Non conoscevo molto bene il mondo del gaming pc, se non dalle pagine di quelle riviste e spesso e volentieri difficilmente si parlava per più di qualche paragrafo del gioco incluso.
Questo perché sicuramente era già stato recensito dalla redazione uno o più anni prima.
Tuttavia, un giorno molto vicino al primo dicembre del 2005, conobbi un gioco che mi sconquassò per sempre: The Elder of Scrolls Morrowind.
Non conoscevo, perlomeno fino ad allora, i giochi di ruolo occidentali: la mia vita si è sempre barcamenata tra un Final Fantasy e l’altro e quel gioco in prima persona mi cambiò la percezione di cosa fosse un GdR.
Ricordo che all’epoca, non riuscivo a seguire il plot, a capire cosa dovevo fare e dove dovevo andare: mi sembrava tutto così difficile e farraginoso, un po’ come molti altri giochi per Pc che avevo provato.
Pensavo di passarci si e no una mezz'oretta e poi abbandonarlo lì, come feci con altri giochi.
In realtà andai avanti per molto tempo a giocarlo, iniziai a interessarmi meno della parte della missione principale e iniziai a girovagare e ad affrontare creature.
E’ stato proprio lì che assaporai per la prima volta la bellezza della scoperta, il sense of wonder dovuto a una cassa nascosta o chiusa con un lucchetto.
Quell’estrema libertà mi piaceva, amavo anche provare a leggere i vari documenti nelle librerie degli edifici, parlare con la gente e osservarla.
Di sicuro non sapevo cosa stessi facendo, ma se c’era una cosa certa è che per me Morrowind era una finestra in un mondo alieno, dove strane creature in un ambiente fantasy convivevano.
Mi piacque molto, al punto che a quell’epoca decidemmo anche di cambiare PC e prenderne uno nuovo: un HP senza cuore e non assemblato che ci ha dato diversi grattacapi e dispiaceri, ma che tra una cosa e l’altra è durato molto più di quanto ci potessimo aspettare.
Tuttavia, non era un pc da gioco e io, oltre a Morrowind, poco giocavo sul PC: dunque pian piano, tornai a giocare con la Playstation 2 in maniera più assidua, facendomi assorbire sempre di più dalle storie dei cari vecchi rpg giapponesi.
Crescevo sempre di più e ormai Xbox 360 era una realtà: sapete perché come regalo della cresima decisi di farmi fare la console Microsoft anziché una ps3 (eccessivamente costosa all’epoca)? Esatto, perché sarebbe uscito il sequel di quel gioco che su pc mi ha fatto impazzire.
Nonostante Oblivion non mi ha mai fatto meravigliare come Morrowind, giocarlo nella mia cameretta spaparanzato sul letto me lo fece apprezzare molto e anche le scorribande in quel videogioco mi divertirono parecchio: amavo diventare potentissimo e iniziare a rubare cose, cercare di fregare l’intelligenza artificiale per poi uccidere chi mi voleva catturare era diventato un grandissimo divertimento.
Ho continuato lungo il corso del tempo a giocare ai prodotti Bethesda per moltissimo tempo, e fui molto felice dell’acquisizione di Fallout da parte sua: giocare nelle Wasteland in prima persona, proprio come fosse un TES mi fece innamorare anche di quell’ambientazione, complice anche una colonna sonora che mi stregò moltissimo: tra l’altro il figlio di mia zia stava crescendo e tra un God of War per ps2 e un Metal Gear Solid, quando veniva a trovarmi rimaneva affascinato dalle armi e dalle creature di Fallout 3 (e poi divenne anche un amante di New Vegas, titolo che sicuramente se legge queste pagine si ricorderà).
Cosa non da poco, è che Fallout 3 fu uno dei primi giochi in cui Debora mi faceva da copilota: durò molto poco, in realtà, ma non gli dispiaceva giocarci insieme.
Saltai a piè pari Skyrim e Fallout 4 perché sentivo che quella magia e quella libertà in quei giochi fossero un po’ troppo sacrificati in favore di una progressione e di una minore libertà che mi faceva un po’ storcere il naso: e poi, avevo così tanto da giocare che giochi così mastodontici mi incutevano un certo timore.
Ho iniziato Starfield in diretta e l’emozione era palpabile: ogni volta che ci gioco, mi coglie un senso di meraviglia e stupore: penso che sia uno status riconducibile al fatto che non conosco per nulla i mondi di gioco e di conseguenza questo esercita un certo fascino su di me.
Proprio come quando giocai per la prima volta Morrowind, non so mai cosa mi attende dietro quell’angolo.
Non voglio dare giudizi sulla qualità del gioco, ho poche ore di gioco, ma è bene specificare che il confronto con Baldur’s Gate 3 non ha assolutamente senso: sono due giochi come filosofie agli antipodi, in BG 3 le tue scelte cambiano drasticamente il tuo percorso, rendendo il mondo e i personaggi decisamente più plausibili.
Starfield questo non lo fa: non puoi uccidere qualsiasi cosa respiri, non puoi condizionare e perdere missioni principali se fai/non fai una cosa.
Starfield è un giocattolone: se accetti il patto con gli sviluppatori, ti divertirai a essere il protagonista di un’impresa epica in cui potrai fare un po’ il cazzo che ti pare senza conseguenze catastrofiche.
E a me il senso di onnipotenza che questo scaturisce, piace.
Il senso di stupore che percepisco nell’esplorare pianeti deriva anche dal fatto che è una nuova IP: effettivamente non conosco Starfield e non so quali mostri o biomi aspettarmi.
Avremo bisogno di più IP nuove, capaci di stupirci e incuriosirci.
Spero che vi piaccia questo articolo: l’ho un po’ rushato che è stata una settimana di cacca puzzolente: mi si è rotta la Sony Alpha e ieri, pure l’impastatrice per le pizze.