Intolleranze di fine estate
Informazioni parziali e polarizzazione mi hanno un po' rotto le scatole. Non ce la faccio più a stare su internet nel 2024.
Ahh… Che belle le vacanze! Dopo aver lasciato due stipendi in quel di Berlino, sono pronto a ripartire con tutte le solite attività: dal lavoro, al Substack e a BlaBlaNerd, il podcast che mi vede ciarlare con altri 3 amici di vari e disparati argomenti, anche con un padiglione auricolare che sembra più un hamburger che un orecchio.
A proposito di chiacchierucce, mi sono imbattuto in un video in cui si fa la cara vecchia retorica del “un tempo i videogiochi erano meglio”: un tipo di malcontento che, a dirla tutta, mi stampa un sorrisetto sulla faccia.
L’affermazione è contemporaneamente vera e falsa, un po’ come la vita del gatto di Schroedinger: l’industria videoludica, come il micio nel contenitore, è sia viva che morta allo stesso tempo.
I videogiocatori sono stufi di vedere l’ennesimo live service tripla A lanciato sul mercato.
I numeri, anche qui parlano chiaro: nessuno riesce a essere il nuovo Fortnite o il nuovo Minecraft, che ormai sono dei colossi in ambito gaming che dureranno ancora anni e anni.
Il loro successo è praticamente irreplicabile e inarrivabile: si cerca di proporre strutture simili a prodotti dall’enorme successo quando è chiaro che i videogiocatori ormai vogliono altro dai competitor.
È inutile continuare a replicare giochi Live Service, perché sono prodotti che dureranno un eternità: è difficile strappare un po’ di successo a Apex Legend e a Fortnite e sperare di essere i migliori, quando questi titoli si fanno forza di essere stati i primi a avere investimenti e un ecosistema in continuo aggiornamento, facendo sì che le persone continuassero a giocarli e a fidelizzare la propria player base.
Le aziende più grandi vedono questo modello di business come estremamente remunerativo, e da una parte se ne può capire il motivo: se riesci a catturare l’attenzione e a far spendere monetine virtuali ai giocatori per 6/7 anni costantemente, hai creato una macchina genera soldi da un singolo investimento.
Sony e compagnia cantante sono arrivati effettivamente troppo tardi, e si ritrovano a gareggiare contro giganti che hanno costruito il loro successo per anni e anni: qualcuno si ricorda ancora la prima versione di Fortnite con tanto di espansione single player venduta a 40 euro? Io sì, e mi ricordo che contro i mob non era nemmeno granché.
Ci è voluto tempo, prima che le cose cambiassero, ma la clessidra non può che avere una dimensione diversa se parliamo dei nuovi competitor nel campo dei live service, che si trovano a dover creare una player base in un battito di ciglia per rientrare negli ingenti investimenti che ci vogliono per sviluppare e supportare questo genere di titoli.
I titoloni multiplayer free 2 play però non sono gli unici ad aver rotto le scatole alle persone: siamo inondati costantemente da Open World che sono la copia carbone l’uno dell’altro, e spesso e volentieri ho l’impressione che, giocato uno, giocati tutti.
Le persone si sono stufate del modo in cui i giochi ad alto budget sono sviluppati: l’'industria, per quanto miope possa sembrare l’occhio delle Big Corporation, lo sta capendo.
C’è bisogno di idee fresche, magari portate avanti con budget minori rispetto ai grandi investimenti. Se Capcom se ne esce con Kunitsu Gami: Path of Goddess, o una Ubisoft con un Prince of Persia: The Lost Crown, o anche al compianto HiFi Rush è ovvio a tutti che il mercato sta cambiando, in un certo senso involvendosi in qualcosa di più sicuro, con costi di sviluppo minori rispetto al blockbusterone da miliardi di euro.
Il mercato dei titoli Low Budget lo dimostra da circa il 2009, portando alla ribalta titoli piccoli dalle idee geniali per fatturati enormi.
Paradossalmente, il problema è quando i publisher si mettono di mezzo: non so se ricordate Rollerdome, il titolo tutto azione e pattini sviluppato dai creatori di Olli Olli.
È venuto fuori, dal tweet di uno dei dev, che il gioco è bene piratarlo, in quanto il publisher non paga più i diritti del videogioco ai suoi creatori.
Legittimare la pirateria sul titolo che si è creato è il sintomo che c’è qualcosa che non va in questo settore: le acquisizioni, i licenziamenti e la chiusura di progetti potenzialmente interessanti sono un chiaro segnale che c’è un malessere e che per non morire si devono cambiare abitudini e. E dopo un po’ di anni, non mi sembra che servizi in abbonamento come il Game Pass possano salvare questa situazione.
La cosa paradossale è che la pirateria assume il ruolo di bussola etica: piratare è sempre sbagliato? Non vorrei incitarvi a fare crimini affrettati, arrubbando i nuovi giochi, ma sul serio: ritenete che la pirateria non sia uno strumento da usare saggiamente per non foraggiare certi tipi di comportamenti da parte di chi vorrebbe i nostri soldi?
Il videogioco è un medium a tutto tondo, che ha le proprie regole per comunicare un messaggio: e proprio per questo, faccio molta fatica ad avvicinarmi a FPS con armi realistiche che simulano la guerra in maniera precisa e poco fantasiosa, come i Call of Duty e i Medal of Honor oppure a opere come Hogwart’s Legacy o al novello Black Myth: Wukong, le cui idee degli sviluppatori sui diritti della donna e delle minoranze sanno molto di antichità.
Nonostante questo sia un grosso problema che possiamo anche giustificare dietro al fatto che in Cina hanno moltissimi problemi sociali, non posso giustificare il fatto che se da content creator chiedessi una chiave per tale gioco, dovrei stare lontano dall’esprimere le mie idee politiche sul gioco: perché se gli sviluppatori prima del lancio esprimono un contenuto politico, io non posso dire che la scarsa presenza (con design pessimi) di figure femminili sia una stronzata sessista? Perché gli sviluppatori possono condividere la loro visione sul prosieguo di un mito cinese e io non posso dire che la non inclusione di figure femminili forti sia una cagata? Il videogioco è un medium che ci scatena pensieri e come ogni opera creata dall’essere umano può essere scarnificata, decostruita e criticata: perchè non viene dato ai content creator la possibilità di farlo? Il problema è che internet è morto, e se mi sono allontanto dai social network tradizionali, con coverage di videogiochi nuovi e fotine degli omaggi, è anche un po’ per questo.
Internet, quello bello, sta scomparendo
Cos’è un complotto? È una teoria che vuole minare un concetto o delle persone per prendere il potere di qualcosa, o per semplicemente mettere in evidenza storture di qualche tipo di un modello scientifico/sociale/politico.
Tra NoVax, Terrapiattisti, QAnon e chi più ne ha, più ne metta, la potenza di un complottto, o delle cospirazioni va scemando: questi complottisti next gen, stanno togliendo potere a questo tipo di parola infilando cose facilmente confutabili una dietro l’altra, rendendo l’uomo comune sempre più convinto che il modo di pensare propinato dalla società sia quello giusto.
Non voglio prendere le parti dei complottari antiscientifici, però se un tempo i cospirazioni portavano alla formazione di società segrete come la carboneria, oggi i congiuratori vengono visti come debosciati.
Ultimamente mi sono imbattuto nella teoria cospirazionista del Dead Internet: il web non sarebbe altro che un insieme di bot messi in piedi da aziende che pilotano il nostro gusto e che scrivono contenuti in base a ciò che ci piace cullandoci nel nostro bias di conferma.
Non la trovo così sbagliata, o meglio: è ovvio che internet non sia lo stesso “Far West” in cui sono cresciuto e in cui mi piaceva sguazzare.
Netlog e MySpace e la piattaforma di Blogging Live Spaces erano delle caccole in confronto a ciò che poi sono diventati Facebook e Twitter, che prima hanno attirato utenti, poi hanno piazzato gli advertising delle aziende in modo strategico e tale da farci vedere pubblicità che possono incontrare i nostri bisogni o il nostro gusto.
Questo meccanismo ci ha portato sempre più a chiuderci nelle nostre bolle, a convincerci che la nostra posizione sia quella giusta e che vada difesa con i denti e con le unghie: sui social ormai è impossibile avere un confronto civile, siamo tuttə sempre più estremə e non dovremo andarne fierə.
Siamo dei burattini in mano a delle aziende che fatturano sulle nostre litigate, sui nostri pareri e commenti forti.
Siamo noi che abbiamo ucciso internet, non i bot: i bot sono strumenti tecnologici che servono l’uomo e sono stati usati per favorire il capitalismo piuttosto che la libertà di espressione e di confronto tra gli utenti.
Anche se non guardiamo il lato corporate, ma dal lato utente, trovo che una grande colpa sia anche nostra: ci siamo fatti fagocitare da un sistema che ci rende insoddisfatti o che ci propina cose di cui non abbiamo bisogno per campare.
Se non mi vedete su altri social, oltre a Telegram, Substack, Youtube e Spotify, sappiate che il motivo è che ho le palle piene dei social: ho la nausea anche solo a spammare i miei contenuti, non voglio più esistere su internet, nemmeno su Twitch, nonostante voglia trovare una soluzione per tornare a fare Live in tutta serenità.
Non voglio più commenti esacerbati, rabbiosi, che portano via tempo prezioso della mia vita: voglio dedicarmi a ciò che mi piace con tutto me stesso, senza curarmi di persone inconsciamente esauste da questo tipo di meccanismi da social.
Ho le palle seriamente piene di asservire un algoritmo, di fare pompini a altrə esserə umanə e di farlə arricchire, anche un minimo, con le mie idee: non temo i social, non temo nemmeno il fatto di scomparire se non li uso e soprattutto, non condanno chi lo fa.
Sono scelte personali, e io ho notato che campo meglio senza sfruttarli attivamente.
A titolo personale ho smesso di usare i social: è ovvio che per BlaBlaNerd, la situazione cambia.
Non è solo un mio progetto, ma anche di altrə personə e non voglio imporre mie personali scelte a quello che è una cosa gestita da più membri.
Alla fine se una cosa non sta bene a me, non devo imporla allə altrə.
oh, a proposito: visto che ho tirato in ballo Anisa Sanusi, sappiate che ha anche un substack: non sono abbonato che sono povero come la merda, ma mi pareva giusto segnalarvelo.
Ringrazio come sempre Pietro Riparbelli, che si prende del tempo per correggere sia la mia newsletter che quella dei fratellə gameromancer, vi lascio anche il substack loro qua sotto.
Un po' Storti e un po' Ribelli! A noi ci piace così!
Sul tema magari poi nel corso di settembre facciamo una chiacchiera in podcast con te perché è approfondibilissimo, io concordo che mediamente i videogiochi non siano mai stati meglio di quanto stanno adesso (e andranno avanti a star sempre meglio fino a che non collassa tutto) dal punto di vista delle uscite, perché ormai esiste una nicchia sostanzialmente per qualunque cosa.
Overall però questa generazione in particolare è stata molto più moscia della scorsa e questo 2024 per ora imho è più scarso del 2023 (anche guardando all'indie). Certo che non mi sognerei mai di dire che non è uscito un cazz.
A latere: quoto fortissimo il discorso Wukong e anche per HL col senno di poi penso che piuttosto che incitare al boicottaggio la posizione migliore sarebbe stata quella di spiegare perché andasse comprato usato tagliando fuori dalle revenue la terfona (e Warner)