Le meraviglie del lavoro
Come lavorare mi ha fatto apprezzare di più le ore dedicate al videogioco.
A Settembre il mio contratto di lavoro si è evoluto: sono stato promosso ma si lavora di più.
No, non sono in crunch, tranquilli, non lavoro nemmeno 8 ore a giorno.
Però non ho più i pomeriggi liberi come prima.
Ora ho meno tempo, il che si traduce in un lasso di tempo più ristretto davanti ai videogiochi.
Come mi è successo già l’anno scorso con Alan Wake 2, mi sto rendendo conto che meno tempo ho per giocare, più quelle ore di sollazzo sono di qualità: la percezione che ho del tempo è cambiata, di conseguenza quelle ore d’aria libera le percepisco come un toccasana; uno staccarmi da tutto e tutti, una liberazione che collima con lo spaccare il grugno ai mostri in Final Fantasy XVI, che peraltro mi sta lasciando con la mascella a terra su PC.
Sto appena all’inizio, non posso parlarvi approfonditamente di un Battle System che comunque mi sta piacendo, nonostante mi stia sembrando spesso come un foglio di carta, però è un buon inizio per sviluppare un qualcosa che abbia una sua identità e che magari riesca a fondere un playstyle veloce come quello degli Stylish action, a elementi da JRPG come il sistema “Carta-sasso-forbice” degli elementali; magari FF XVII ci riuscirà, chi lo sa.
Il plot dell’ultima fantasia finale mi sembra sufficientemente maturo da incuriosirmi e, a differenza di un Games of Thrones, non parte nemmeno lento e mi ha preso sin dal primo momento.
Poi oh, mi dai dei mostroni che fanno a cazzotti e mi basta per farmi felice come un bimbo di 6 anni davanti a Dragon Ball.
Ma non voglio condividere molte impressioni sull’ennesimo port di un esclusiva (temporale) di PS5, scrivere di videogiochi alla fine per me è una scusa per ciarlare su me stesso, di scrutare e scavare dentro Pacione analizzando il suo vissuto per capire perché oggi apprezzo i videogiochi più di ieri: sarebbe facilissimo dire che i giochi del 2024 sono più belli di quelli del recente passato, ma sono convinto che effettivamente sia così e in primis non sia cambiato il mio approccio verso le opere digitali?
Non vi nego che da disoccupato avevo grandi problemi nell’apprezzare i videogiochi.
Li approcciavo in un momento di negatività generale, non riuscivo a godermeli a pieno perché la mente andava sempre a pensare di come stessi buttando la mia vita, conducendo quella che mi sembrava un’esistenza senza valore.
Questo spesso si traslava nella mia esperienza virtuale: ero incapace di finire i videogiochi, perché un fitto velo di noia si stagliava davanti ai miei occhi al punto da accecarmi e da non farmi capire il punto da cui proveniva quella strana foschia.
Non stare attaccato al pad la maggior parte della giornata, mi ha fatto riprendere il divertimento nel videogioco: non sono solo qualcosa da giocare perché li ho pagati, ma perché mi diverte usufruirne, vuoi per il graficone spacca mascella o per meccaniche di gameplay che riescono a tenermi incollato allo schermo.
Lavorare mi ha donato la capacità di mettere tutto in prospettiva, di dar valore al mio tempo, che ora percepisco come qualcosa che ha un limite, riuscendo a farmi apprezzare la vita in maniera migliore.
Qualche volta, mi diverte anche andare al supermercato e a fare la spesa, per scegliere i migliori ingredienti per la pizza: compito che ho sempre sbolognato a Debora, perché sinceramente mi rompevo le scatole ad andarci e a passare un pomeriggio tra gli scaffali dei biscotti a scegliere la colazione.
Forse la monotonia derivante dalla disoccupazione mi ha buttato in una brutta spirale di boh, depressione? Non saprei come definirla, se non come un mal de vivre videoludico in cui giocavo tutto in maniera molto più passiva del solito, senza provare a finire nemmeno i videogiochi che erano in grado di divertirmi: la clessidra scorreva così lentamente che mi annoiavo a giocare tutto, mi spazientivo e non riuscivo a non pensare a quanto la mia vita fosse immobile.
Avere dei limiti di tempo mi ha fatto rendere conto che il tempo del gioco deve essere di qualità: un lasso temporalmente più breve, ma in cui godo e ottimizzo al 100% la mia esperienza di gioco.
Se ci penso, il concetto di monotonia dalla disoccupazione è una situazione che mi ricorda un po’ Lost Odyssey e la noia dell’immortalità: possiamo vivere quanto vogliamo, ma se il tempo non scorre mai, le nostre azioni rimangono futili e poco significative per la nostra esistenza.
Il concetto di tempo probabilmente è quello che ci rende umani e ci fa provare emozioni: senza di esso non so come potrebbe essere la vita, probabilmente ci inaridiremmo pian piano fino a diventare automi.
Sapete invece come far scorrere velocemente il tempo? Ascoltando la nuova puntata di BlaBlaNerd!
L’otium del disoccupato non è la cosa più brutta dell’universo: il problema è il costante stress che deriva dalla società e dal giudizio altrui, dai genitori, dai parenti ma anche dal vedere che lə propriə amichə vanno avanti nella loro vita e tu, immobile, resti dove sei sempre stato sino alla fine del liceo; questo mi ha risucchiato tutte le energie e tutta la voglia di vivere, che per alcuni è tipica dei vent’anni.
Non so da dove derivino questi pensieri filosofici in questo insolitamente caldo venerdì pomeriggio settembrino, forse è colpa dell’anime di Terminator, o forse perché sono più consapevole di quella che è la mia vita, portandomi anche a pensare alla tossicità del mio rapporto coi videogiochi: li amo, ma forse li amo un po’ troppo.
Sto maturando la sensazione che molti dei miei problemi derivino da un rapporto probabilmente tossico coi videogiochi: l’ossessione, il voler giocare sempre cose nuove, scoprirle e giocarci fino alla nausea probabilmente mi ha portato a spendere compulsivamente soldi che è un qualcosa, come i videogiochi, che mi accompagna sin dalla tenera età.
A ben pensarci, questo rapporto probabilmente è nato per colpa dei miei genitori che mi hanno messo una sorta di ansia nel dovermi gestire i risparmi dei parenti per comprarmi i videogiochi, contribuendo al fatto che non riesco a risparmiare un singolo centesimo che mi entra in tasca, perché devo comprarci cose che nessun altro mi comprerebbe o mi ha mai comprato.
Magari per alcuni la strategia ha funzionato, ma non è stato questo il mio caso: penso costantemente che queste cose mi potrebbero servire e che i miei soldi, seppur pochi, mi servano a comprarmi ciò che più mi piace, senza risparmiarli per altre necessità magari più urgenti. Uno dei motivi per cui ho smesso di fare sport è stata la dichiarazione di mia madre che se avessi voluto iscrivermi a un corso di Basket o di Arti Marziali avrei dovuto pagarmelo con le paghette dei nonni.
Probabilmente quella è stata la pietra tombale che mi ha causato ancor più ansia, evidenziando come io avessi dovuto spendere dei miei soldi per me stesso, perché tutti i miei hobby erano visti come futili faccende dilapida soldi.
Questo problema è qualcosa che mi causa un forte imbarazzo, tant’è che ho rimandato per quasi un mese la stesura di questo pezzo, perché mi fa sentire schiacciato dall’impossibilità di far fronte a imprevisti in cui mi farebbe comodo avere un po’ di grana e non so come affrontarlo, l’impulso all’acquisto è più forte di me.
Sicuramente, questa morbosità da shopping è dovuta a qualche mia insicurezza che non riesco a mettere a fuoco e chissà, magari avrà a che fare anche con la mia obesità: non lo so, ma forse questo mettere in prospettiva il mio tempo a disposizione, a comprendere che lo stare bene passa anche dal godere del tempo libero di qualità con videogiochi, amici e famiglia, forse, è il primo passo per migliorare anche questo tratto della mia persona.
Ringrazio Pietro Riparbelli, che come tutte le settimane passa del tempo a correggere la descrizione dei mie problemi. È come uno psicologo della grammatica, ma un po’ anche quello della mia testa.
Fondo pensione o piano di accumulo e li risparmi in via forzata. Poi sono scelte per carità
"Questo problema è qualcosa che mi causa un forte imbarazzo, tant’è che ho rimandato per quasi un mese la stesura di questo pezzo, perché mi fa sentire schiacciato dall’impossibilità di far fronte a imprevisti in cui mi farebbe comodo avere un po’ di grana e non so come affrontarlo, l’impulso all’acquisto è più forte di me."
Con 'sta cosa empatizzo fortissimo. Una delle cose che parlando con altre persone "adulte" mi fa sentire più inadeguato è proprio il discorso risparmi (complice anche un rapporto congenito sbagliatissimo coi soldi che è proprio il marchio di fabbrica nella mia famiglia).