Retrogames e turisti: la rovina dei recycle shop giapponesi
Perché Akihabara è sempre più ricca di souvenir shop? Dov'è finita la terra promessa del retrogaming?
Nella mia vita, ho avuto la fortuna di andare in giappone per ben due volte. In entrambi i casi, mi sono riportato dietro un bel po' di memorabilia, in particolare per quel che concerne il mondo dei videogiochi.
Tra un peluche di Pikachu e l'altro, infatti, la mia valigia era tronfia di giochi PS2: non fraintendiamoci, sono giochi che, in un modo o nell'altro, ho giocato tutti, sia perché mi incuriosivano a livello grafico, sia perché c'erano alcuni tie-in di anime che non avevo mai visto e che dovevo assolutamente provare.
Di recente, sono incappato in dei post su X di Oliver Jia, un ricercatore americano che vive a Kyoto.
Da buon appassionato di videogiochi, ha notato che i turisti stanno prendendo d'assalto i Recycle shop della sua città: un tempo il Surugaya della vecchia capitale nipponica era composto da due piani ricchi di videogiochi.
Da qualche tempo, un piano non è più in uso e il negozio è rimasto con poca roba.
Il turismo, per il mercato dell'usato, è un grosso problema: il principio che muove il recycling shop è quello che, prima o poi, il gioco verrà reimmesso sul mercato. Magari la stessa copia ti ricapiterà anche tra le mani portata da due persone diverse, magari no, ma stai pur certo che probabilmente verrà rivenduta nel tuo paese d’origine.
Ma se io acquisto un titolo a Kyoto, e lo porto in Italia, difficilmente riporterò quel titolo in un negozio giapponese: magari lo rivenderò online, lucrandoci pure sopra: questo fa sì che le copie rimaste in Giappone, si carichino di valore diventando sempre più inaccessibili.
Il collezionismo, d’altronde funziona anche così: ma quando di mezzo ci sono negozi che vivono di compravendita di usato, la situazione si complica, in quanto non c’è solo uno scambio tra privati, ma anche un affitto, luce e altre spese da pagare.
Se nessuno riporta dentro giochi vecchi, i titolari dei negozi non hanno niente da vendere e allora si potrebbe pensare anche di cambiare settore.
Non so se ve ne ho mai parlato, ma dal 2017 al 2019 ho trovato una differenza enorme ad Akihabara.
Il quartiere di Tokyo, famoso per ospitare negozi di videogiochi vecchi e shops per nerdacchioni è completamente cambiato: avevo dato la colpa al turismo, che ha svuotato il quartiere elettrico per far spazio a souvenir shop, ma dietro c'è molto di più.
Un negozio che mi è sempre piaciuto molto ad Akiba, era Friends.
Nel 2017 era ricchissimo di roba interessante, e l'atmosfera familiare che era presente mi aveva colpito molto.
Nel 2019, al mio ritorno, ho percepito un'aria diversa, quasi come se non mi volessero all'interno del loro negozio.
Magari era per una giornata storta, ma è difficile che i giapponesi facciano emergere così tante emozioni di fronte a un cliente.
Probabilmente, avevano paura che predassi il loro negozio e iniziassi a comprare a destra e a manca tutti i loro articoli per portarmeli altrove.
Comprando in questi negozi, o anche da Surugaya o, che ne so, Mandarake stiamo effettivamente ledendo al loro mercato, togliendo loro della merce che al 99% dei casi non ritornerà in giappone: questo ha una conseguenza anche sui prezzi.
La mia copia di Metroid: Zero Mission giapponese non tornerà mai nelle mani della signora del Friends che me lo ha venduto.
Di conseguenza, il metroidvania Nintendo subirà un aumento di prezzo, dato dal fatto che quel gioco non verrà più dato dentro.
E' un po' il gioco del collezionismo questo, ma se lo applichiamo a una realtà come il giappone, che da sempre ha visto come un attività fruttuosa quella del recycle shop, la nostra sete di oggetti nostalgici potrebbe avere un grande impatto sulle famiglie che gestiscono quei negozi.
Questo infausto destino è riservato solo alle mete più gettonate del giappone: le grandi città prese d'assalto dal turismo.
Nei piccoli centri abitati, o nei grandi recycle shop di poco al di fuori della solita area di consumo, ci sono shop più forniti.
La cosa che mi fa più riflettere è che in atto c'è una desertificazione del videogioco, ma in generale dei servizi ai cittadini che per molte dinamiche è simile a quello che avviene nella mia città natale, Orvieto: ci sono sempre meno servizi in grado di rendere la vita confortevole ai suoi abitanti mentre aumentano esponenzialmente il numero di souvenir shop o negozi dedicati ai turisti, cosa effettivamente che si può dire delle zone più battute dai turisti di Tokyo.
Il quantitativo di Bed and Breakfast nella mia città è assurdo e questo essere a misura del turista ha reso Orvieto una città non più adatta per la vita dei suoi cittadini.
A Orvieto non ci sono più eventi che possano richiamare le persone dei paesi limitrofi, non ci sono più cittadini che aprono attività per altri cittadini, non ci sono più prezzi a misura di vita: né sul mercato immobiliare, né per quanto riguarda beni di prima necessità.
Bisogna andare fuori, prendere la macchina e andare nelle zone sottostanti la rupe.
Un po' come per trovare dei negozi di usato forniti in giappone: bisogna guidare/ pedalare e arrivare in posti in cui il turista non è ancora arrivato.
Sia chiaro: i beni di prima necessità sono sempre disponibili, ma è sempre più palese che i quartieri centrali siano principalmente adibiti a grandi uffici e a strutture turistiche.
I recycle shop in giappone sono servizi per gli autoctoni della zona: riciclano ciò che non serve più a loro perché può servire a qualcun altro, gli consente di recuperare giochi a un prezzo onesto e guadagnarci un minimo dalla loro vendita.
Non possiamo arrogarci il diritto di andare in giappone e acquistare scaffalate di giochi, che magari nemmeno giocheremo.
Depredare il loro mercato dell’usato per poi rivenderlo in occidente probabilmente è immorale tanto quanto la pirateria.
Nella massa mi ci metto pure io: sebbene io abbia giocato in gran percentuale tutti i giochi che ho acquistato in giappone, alla mia terza visita comprerò solo videogiochi effettivamente significativi e costosi.
Anche perché, di motivi per visitare il Giappone oltre ai videogiochi, ce ne sono a bizzeffe.
Scrivendo questo articolo mi è tornata la voglia di tornare in giappone.
Mannaggia a me!
Un grazie enorme e sentito a Pietro Riparbelli, che ogni settimana si fa carico di correggere ogni mio singolo errore
Che nostalgia! 😍