Se dovessi decretare un anno importante per delineare quello che è il presente, escludendo il 2020, probabilmente direi il 2016: Trump si insediava per la prima volta nella casa bianca e ha reso chiaro che da lì in poi la destra sarebbe potuta essere più forte che mai.
Tra rassicurazioni ai complottari e ai terrapiattisti, a quelli che non vogliono i messicani in USA e a tutta quella bella gente che erigerebbe muri più alti di quelli dell’Attacco dei Giganti era chiaro che il mondo si stava avviando verso un’epoca abbastanza buia da preoccupare tutte le minoranze.
Sinceramente Donald mi preoccupava poco all’epoca: consideravo assurdo che un wanna be Berlusconi fosse diventato il presidente dello stato più potente del mondo occidentale.
Non avrei mai previsto che nel 2025 Trump potesse insediarsi di nuovo alla casa bianca ottenendo un favore di pubblico incredibile, né tantomeno avrei previsto che 3/4 del mondo pendesse verso il nazionalismo di destra, Italia inclusa.
Per me, il 2016 era un anno abbastanza placido: facevo ancora il dog sitter, cercavo di portare a spasso più cani possibile per avere qualche soldo in più da portare l’anno successivo in Giappone.
Nell’aprile di quell’anno, un negozio di videogiochi ha aperto praticamente sotto casa di mia madre: avevo una PS4 da relativamente poco, dunque ero felice di poter comprare giochi fisici e limited edition semplicemente affacciandomi al portone di casa.
Uno di quei giochi è stato The Last Guardian: titolo di Fumito Ueda che si incentrava sul rapporto tra umano e animale.
Ricordo ancora Youtuber arrabbiati per i controlli imprecisi, per la telecamera che faceva le bizze e per altri difettucci tecnici che infestavano il gioco.
A me non interessava: Ueda aveva fatto un lavoro eccellente nel rappresentare la cooperazione uomo-animale.
Non sono una persona passiva che svolge i propri compiti senza cercare di capire di più di quello che sta facendo e essere un padrone di un cagnolone e portarne a spasso altri mi ha fatto studiare da autodidatta un po’ di educazione cinofila: mi è sempre interessato approfondire i punti in contatto con gli altri mammiferi, come per esempio i lupi o gli antenati dei gatti si sono avvicinati a noi e i motivi che hanno portato a sviluppare nel tempo una simbiosi con questi animali.
È curioso vedere come il piano comune dell’apprendimento tra i mammiferi sia proprio il gioco.

Questo concetto di game design approcciato al mondo dei mammiferi sono sicuro abbia ispirato Fumito Ueda: il rapporto tra Ichi e Trico avviene gradualmente e a piccoli passi, le due creature imparano a conoscersi e a collaborare gradualmente.
Uno dei motivi per cui penso che il gioco abbia rischiato di essere un abandonware è proprio perché replicare questo tipo di dinamica naturale in un mondo virtuale è veramente un casino: l’intelligenza artificiale della bestiolona doveva essere sufficientemente realistica da non essere sempre obbediente, così come avrebbe dovuto dare l’impressione di imparare i comandi che Ichi impartiva.
Creare un rapporto simbiotico con gli animali è difficile nella vita reale, figuriamoci cercare di crearlo virtualmente.
The Last Guardian è un gioco che rispetto profondamente per questo layer tecnico di complessità che penso sia sfuggito a molti, perché è qualcosa che non è sotto agli occhi di tutti come la palese ispirazione ai lavori di Piranesi e De Chirico, ma è qualcosa forse di più sottile e non tanto evidente a chi non si sia messo lì a studiare un minimo di comportamentismo negli animali: anche perché il mondo dei media è pieno zeppo di bestioline antropomorfizzate che collaborano con gli uomini e il rapporto tra il ragazzo e Trico potrebbe apparire molto surreale e in linea con le assurdità architettoniche di Ueda, ma pone le basi su concetti che rendono verosimile l’interazione dei due protagonisti.
Il gioco è costellato di difetti e ovviamente ha i suoi limiti, ma come al solito il creatore di Ico riesce in maniera magistrale, quasi quanto Nintendo fa con Link, a connettere il videogiocatori con le sue creazioni digitali.

Tornando alla mia vita una settimana dopo aver comprato The Last Guardian, un piccolo barboncino birbantello fuggì e andò alla ricerca dei padroni che nel mentre erano a Los Angeles.
Quell’evento mi ha un po’ traumatizzato: da quel momento in poi, non ho toccato The Last Guardian per un paio d’anni.
Non perché il gioco non mi piacesse, ma semplicemente perché ogni volta che lo inserivo nella Playstation, mi ricordavo di quell’evento e non riuscivo effettivamente a godermi l’esperienza: per questo, lasciai perdere.
Lo ho ripreso in mano 2 anni dopo, ad Agosto 2018: la fuga del cane Orvieto - Los Angeles era ormai un ricordo e Roy era diventato un grande cagnolone che amava starsene sul letto a guardare la TV mentre giocavo con la Playstation 4, in particolar modo all’ultima fatica di Ueda e a Uncharted 4.
A settembre, Roy morì.
Non ho mai più toccato quel gioco, anzi: se non ricordo male è uno dei pochi giochi che abbia mai rivenduto durante quel periodo della mia vita.
Non intendo riprenderlo e rigiocarlo perché ogni ricordo legato a quel gioco mi fa stare male, nonostante le sue qualità siano innegabili: però, l’ansia che mi genera ripensando al passato è così grande da risultare insormontabile.
È un po’ l’effetto opposto della nostalgia, che magari ci rende dei giochi osceni un pochino più belli semplicemente perché ci ricordano i tempi in cui uscivamo da scuola e ci mettevamo a giocare spensierati: una sensazione che a me piace tantissimo e che ha allenato la mia memoria emotiva in maniera pazzesca, ma che ha i suoi difetti.
Nella vita inevitabilmente si fanno i conti con la morte: quando questa bussa alle porte vicino casa tua, è difficile rimanere indifferenti.
Ormai ho finito le parole riguardo a quanto Pietro Riparbelli sia fondamentale per i testi puliti di stOrto. Grazie mille per revisionare tutto il revisionabile.