Double Storto: Il mio demone / La mia foto
Vado all in: mi espongo, tanto. Vi mostro il vero Pacione e i demoni che lo mangiano.
Se dovessi parlarvi della mia attuale vita, vi direi certamente che tutto va per il verso giusto: finalmente ho un lavoro che mi soddisfa, sto portando a termine un progetto a cui sto lavorando da parecchio tempo e che equivale a iniziare a realizzare un sogno. Sto insieme alla mia compagna da quasi 15 anni e non ho il minimo dubbio che lei sia la persona giusta per me: viviamo in perfetta simbiosi, ci completiamo le frasi a vicenda; a volte non c'è nemmeno bisogno di parlare per capirsi e notare che entrambi, diciamo le stesse esatte cose alle persone che ci chiedono consiglio senza confrontarci prima fa riflettere.
Eppure, nonostante la mia vita personale vada a gonfie vele non riesco a essere felice.
Colpa del capitalismo? Forse, o meglio, di sicuro. Ma non possiamo farci nulla: il mondo funziona così e per quanto possiamo criticare gli ingranaggi del meccanismo, siamo noi stessi parte della macchina.
Anche se non vogliamo farne parte.
Non sono mai andato dallo psicologo: non per orgoglio, o per vergogna di ammettere che abbia un problema.
Nonostante lavori non ho una soglia di guadagno così grande da poter avere del denaro per garantirmi un rapporto continuativo del genere, ma sono sicuro di aver qualcosa.
Vorrei tornare a essere felice e soddisfatto di quello che faccio, orgoglioso di aver raggiunto dei traguardi nella maratona chiamata vita.
Vorrei tornare ai tempi della mia vita di preadolescente in quel di Rieti, dove tra un allenamento di basket e l'altro, mi godevo dei videogiochi che hanno formato quello che volevo fosse il mio carattere.
Amavo Kingdom Hearts al punto tale da simulare dei comportamenti che mi portassero a includere sempre tuttə nel mio gruppo di amicə: tendevo a non escludere nessuna persona della classe. Eravamo tuttə amicə.
Ed era quello il bello, essere circondato da persone pronte a sostenerti e a volerti bene, mi piaceva. E mi piaceva anche dare il mio supporto a tuttə.
Sarà stata anche l'innocenza di quell'età, dopotutto eravamo poco più che bambinə, ma io quelle persone me le porto ancora nel cuore.
Con alcuni ci sentiamo ancora, con altre, come giusto che sia, abbiamo perso i rapporti.
Dopotutto è la vita, direte voi: sì, però sono altamente convinto che una delle cause per cui sia andato tutto un po' a puttane, compresa la mia psiche, sia perché io, finiti gli esami di terza media, mi sono ritrasferito nella mia città natale.
È ancora vivido nella mia mente il giorno in cui sono partito. Ricordo gli amici che mi sono venuti a salutare, ricordo le lacrime trattenute e il pensiero maschilista di "Fare l'uomo, non la fighetta" cercando di nascondere il mio dispiacere, un po' come anni e anni di Metal Gear Solid mi hanno insegnato e ci riuscii pure. Solo che quei maledettissimi giorni sono stati quelli che mi hanno cambiato irrimediabilmente.
Un altro episodio che ha annullato la persona che ero, è stato l'impacchettare roba e buttare quello che per i miei genitori sembrava superfluo: ho buttato 5 anni di PSM, comprati mensilmente. Tutte le mie riviste, l'essere informato, il sogno di diventare come loro, era racchiuso nell'affetto e nella maniacalità con cui custodivo quelle riviste.
Tutto buttato nel secchio di fronte alla palazzina in cui abitavo, insieme ai testi scolastici.
Ricordo quel giorno che un mio amico, mi chiedeva insistentemente il giorno della mia partenza: era chiaramente dispiaciuto, ma io da buon "Enfant teribles" cresciuto a pane e Snake, cercavo di fare il sostenuto. Ho trattenuto troppe lacrime, di giorno, che esplodevano in silenziosi pianti la notte, sotto le coperte: quando nessuno poteva sentirmi, quando mi sentivo abbandonato, solo, un guscio vuoto in attesa di ospitare un'altra persona. Un bozzolo di un microscopico insetto trasportato dal vento che avrebbe dovuto ambientarsi in un luogo quasi estraneo a lui. Come valvola di sfogo, iniziai a sviluppare videogiochi con RPG Maker 2003: cercavo di imprimere il mio dispiacere in giochi immaturi, che crescevano e crescevano nella mia mente, ma che de facto non portavo mai a compimento perché erano troppo ambiziosi.
Ho continuato a sviluppare videogiochi con rpg maker, tutt'oggi qualche volta mi ci diverto. Ho studiato un pochino anche Unity, ma tutto quello che ho fatto sono imbarazzanti prototipi: l'unica costante del mio portfolio da Game Maker è che ho sempre cancellato tutto quello che abbia mai fatto.
Erano progetti che mi facevano vergognare di me stesso: mettermi a nudo non mi piaceva, mi faceva sentire debole e insicuro.
Era il mio personale modo di togliere l'armatura da stoico e creare storie delicate, che toccavano le sfere delle mie amicizie: capaci di farmi sorridere, ma spesso anche di farmi rendere conto che c'era qualcosa in me che cresceva, e che non andava bene ci fosse.
Passivamente, sono andato avanti: era il 2007 e attorno a quell'età iniziai ad avere botte di nostalgia che mi portarono a giocare titoli da sala giochi visti magari per sbaglio a Bolsena, e così mi ritrovavo spesso con il mio migliore amico, a giocare con gli Arcade col vecchio PC di sua nonna.
Tra un Punisher e un Captain Commando, iniziò la ricerca per i videogiochi più strambi e sconosciuti e finii per appassionarmi a quella che era la storia del videogioco. Giocai veramente tanti titoli sul MaMe.
La ricerca spasmodica di nuovi vecchi titoli da giocare, di piccole gemme sconosciute ai più, mi affascinava e alleviava un po' la bestia che era dentro di me. Tuttavia, nonostante la certezza di aver trovato qualcosa che mi distraesse, mi rendevo conto che non ero io. Non avevo voglia di uscire, avevo meno voglia di socializzare. Ovviamente, mi ero rifatto degli amici, ma passavo dei periodi, spesso lunghi mesi estivi, in cui volevo starmene a casa, da solo. Senza uscire, ma semplicemente a giocare. Erano i momenti in cui avrei voluto stare coi miei amici a Rieti, tra una tavola di skate rotta, una battuta sporca e chiacchiere sui videogiochi.
Quando non uscivo, passavo giorni interni a creare videogiochi e a imparare programmazione: la loro creazione assurgeva anche al ruolo di espressione del mio demone interiore, pronto a creare, a rompere e a ricostruire i pezzi come se stessi facendo un kintsugi digitale delle mie idee su schermo. Questo demone ormai è diventato un fedele compagno: le mie idee partono tutte da questo malessere interno, un turbamento che non riesco a placare né a fermare. E' qualcosa di esplosivo che può nascere in qualsiasi momento, togliendomi la concentrazione su progetti che ha precedentemente creato e poi abbandonato. Il mio approccio col game making è sempre stato quello di esprimere un malessere attraverso il codice, di cercare di ritrovare il ragazzino espansivo e solare che guardava il wrestling, l'anime night su MTV e sentiva la musica metal, i Gemelli Diversi e gli Zero Assoluto, ma che non ho mai più ritrovato crescendo.
Forse è solo una questione di maturazione: magari è normale cambiare così tanto, ma io sento come se avessi annegato il mio vecchio me il giorno del trasloco. Mi sono sentito molto solo e spaventato, un po' come la prima volta che mi trovai nel mare di Wind Waker anni dopo: quella distesa di vuoto di fronte a me, oltre che annoiarmi, mi faceva paura. E forse, non riesco a gioire per i miei successi proprio perché questo aver sepolto il dispiacere, ha assopito ogni mia voglia di festeggiare i traguardi, nonostante provi a essere felice.
Il pezzo che avete appena letto è tratto da uno scritto che mi ha ispirato a scrivere questo pezzo. Non volevo pubblicarlo all’inizio, ma ho deciso di farlo perché mettermi a nudo, una volta ogni tanto, mi fa bene. Troverete pezzi sicuramente simili a quanto scritto sopra, sicuramente non è un articolo per tutti: se mi volete bene, sono sicuro lo leggerete.
Sappiate però che sono ben cosciente che ci sono molte persone che mi vogliono bene e ci sono sempre state sia nei momenti felici, che di tristezza. Spero che sappiate che non è un problema vostro, o meglio, non causato da voi, ma è qualcosa che mi porto dentro da tanto tempo, e che probabilmente dovrei risolvere in qualche modo.
La Mia Foto.
Pagina di un diario che scrivo quando ne sento il bisogno.
Ho scoperto i Tre Allegri Ragazzi Morti per puro caso: era il 2007 e a breve mi sarei trasferito nella mia città natale: questa canzone è impressionante per come, in un certo senso, ha sempre rappresentato un po’ il mio stato d’animo. Lasciare delle persone a cui vuoi bene, è sempre un problema. Penso per tutti, io l’ho vissuta male.
Ecco perché oggi vorrei parlarvi di uno stato d’animo che si ripresenta spesso, da quando ho realizzato che avrei dovuto abbandonare tutta la mia cricca di Rieti.
Devo alzarmi: trovare le forze oggi non è facile.
È una soleggiata Domenica di fine Aprile, fredda, come piace a me.
Il surriscaldamento climatico non ci risparmia e queste sembrano proprio essere le ultime frescure prima di un caldo torrido che ci toglierà la voglia di vivere.
Apro gli occhi ancora incipicciati e guardo alla finestra. Mi ricordo che da piccolo amavo guardare fuori dall’oblò del mio letto a castello per osservare la cima del campanile che si vedeva dalla porta finestra di camera mia: ero a Rieti ed ero felice.
I videogiochi mi rendevano felice, e avevo una voglia matta di scoprirli, giocarli e approfondirli, in particolar modo se erano JRPG che mi narravano una storia dritta, comprensibile e che un po' mi ricordavano degli anime.
Mi facevano stare bene, ma se dovessi ridurre la mia felicità soltanto al fatto che giocavo a Dragon Quest 8 in quel periodo, mentirei a me stesso.
Perché in realtà mi sentivo come un eroe shonen, pieno di amici che mi volevano bene, pronti a ridere, scherzare e a festeggiare momenti felici con me
Ieri, nella mia vita c'è stato un checkpoint: non posso parlare di evento importante, di per sé, perché è stata la conseguenza di azioni e scelte fatte nel corso di 3 anni, ma come succede ogni volta, questa è l’occasione per confrontarmi col mio passato.
Ogni volta che ripenso alla mia vita, penso che io sia stato scisso: come mi hanno insegnato gli studi della mia ragazza, ci sono alcuni pedagogisti della branca degli ambientalisti che affermano che il carattere delle persone non è determinato da caratteristiche innate, bensì dall'ambiente in cui si cresce.
Se applicassi questo studio alla mia vita, nonostante sia stato superato da teorie più moderne, non lo troverei sbagliato: potrei parlare piuttosto di pelle di camaleonte, di qualcosa che mi porta a mutare.
Forse sarà la crescita, forse l'ambiente, ma a Rieti ero una persona diversa.
Sia caratterialmente che fisicamente: ero attivo, snello, sportivo.
Ora sono l’esatto opposto: pigro, pesaculo, svogliato per qualsiasi attività.
Non so se semplicemente crescere ti ammazzi la voglia di vivere o alcuni eventi ti cambino per sempre: fatto sta che dal mese prima del trasloco da Rieti a Orvieto, qualcosa in me stava cambiando.
Ogni santa notte mi ritrovavo a piangere perché sapevo che avrei dovuto abbandonare il mio mondo, i miei amici, la mia casa per trasferirmi in un vecchio luogo, con cui ormai avevo pochi legami.
Mi svegliavo, piangevo e poi mi mettevo a giocare per l’ennesima volta a Zone of The Enders 2: Dingo e soci mi distraevano dai miei problemi, mi facevano sognare l’immensità dell’universo e delle guerre su larga scala. Uno dei miei rifugi più grandi all’epoca era di pensare di addormentarmi dentro il Jehuty, in cui niente e nessuno potesse ferirmi.
Ricorderò sempre gli amici che mi salutano da fuori del finestrino della macchina, e il mio grido soffocato in gola che avrebbe espresso tutta la mia voglia di rimanere lì.
Ho sempre visto la mia vita come una serie di videogiochi: ogni anno delle feature venivano aggiunte e mi immaginavo le recensioni su PSM. Anche per quell’evento, mi immaginavo finisse uno Story arc e ne iniziasse un altro. Ero talmente sotto tono, probabilmente lo sono ancora che non mi sono mai più ripreso, nonostante non possa che parlare bene della mia vita: ho una compagna che mi ama, amo sua sorella quasi come un padre amerebbe sua figlia, un lavoro e delle persone che amano e apprezzano quello che faccio.
Solo che io non riesco a percepire come degno di nota quello che faccio.
Mi sento inutile, apatico, distaccato da quella che è la mia vita.
Come se delle mie scelte, alla fine della fiera, non me ne fregasse un cazzo: vado avanti, inerme, in balia di una corrente che frena qualsiasi mio entusiasmo.
Ultimamente ho ricevuto un’ottima notizia, eppure non riesco ad essere felice.
E come ogni altra volta che questo succede, ripenso ai giorni in cui, con la mia combriccola di amici reatini, andavamo in giro per la città, chiacchieravamo sulle panchine davanti alle scuole medie o bevevamo i trasgressivissimi Bacardi Breezer sulla riva del fiume Velino e a parlare dell’ultimo film della jackass o di come aumentare i nostri punteggi su Tony Hawk Underground 2.
Fatico a capire se sono io che ho un male dentro, oppure se semplicemente è per tutti così: si cresce, si esplorano altri luoghi, si incontrano nuove persone e poco a poco che arrivano le prime porte in faccia della vita, ci si inaridisce.
Voglio dire che vorrei la mia vita indietro, o meglio, vorrei che la mia percezione della vita torni com'era un tempo.
Forse un grido d'aiuto al momento giusto mi avrebbe potuto salvare, un “Babbo ferma questa cazzo di macchina, voglio restare” avrebbe convinto i miei genitori a farmi stare lì. Forse anche se quella macchina non si fosse fermata, quell’urlo mi avrebbe salvato; invece ho soffocato tutto dentro, al punto che continuando a vivere, le volte che ho pianto sono state veramente poche: specialmente per tristezza.
Ormai non riesco a piangere né a provare forti emozioni, se non per rabbia: tutto questo perché l’influenza del patriarcato mi ha influenzato al punto di pensare che piangere sia sbagliato, un qualcosa di cui vergognarsi e che un uomo non dovrebbe mai fare. E io in primis ne sono complice: perché non mi sono lasciato andare all’emozione? Perché mi sono fatto vedere impeccabile e quasi contento quel giorno? Perché non volevo deludere nessuno. Non volevo fare agitare i miei amici, non volevo fare dispiacere i miei genitori, non volevo ferire nessuno: così mi sono irrimediabilmente aperto un buco in petto.
In più di 15 anni di tempo passato, non ho mai cercato di ricucire questo strappo: la mia vita è cambiata, ed è cambiata anche quella dei miei amici di Rieti.
Non posso pretendere che il tempo vada avanti per me e non per loro, così come non posso pretendere di avere rilevanza nelle loro vite. Dopotutto è stato un periodo breve di tempo, 5 anni e in un’età della vita in cui si sta iniziando a crescere e le cose forse sarebbero cambiate comunque, anche se fossi rimasto.
Mi sono ripromesso però, che io probabilmente quest’estate, devo tornare a Rieti a incontrare i vecchi amici che vorrano o potranno incontrarmi, sono stanco di farne a meno.
Anche se sarà diverso, anche se non ho più fiato per giocare a calcetto davanti la scuola media, non importa. Voglio salutarli e riabbracciarli.
Ho sognato per una vita di tornare a essere quello che ero, ho aperto un canale Twitch per sentirmi meno inutile, mi sono esposto, delle occasioni sono arrivate perché qualcuno ha riconosciuto le mie qualità.
Addirittura A., un mio amico di Rieti, l’ho ritrovato in chat da me, mi ha fatto un sacco piacere.
Eppure non riesco a gioire più come un tempo e non riesco a capire se ho qualche trauma irrisolto, oppure sono i pugni in faccia che ti dà la società moderna che ti fanno sentire così: nonostante i videogiochi siano stati il palliativo di tutti i miei problemi emotivi, in questo caso, non hanno saputo risolvere il mio sentirmi rotto.
Ringrazio una delle persone che mi vuole bene, il carissimo Pietro “Pulciaro” che ogni settimana sta qui a leggersi i miei articoli e a correggerli da ogni errore possibile e immaginabile. Grazie!
Mi ci sono rivisto molto. A 18 anni pure io ho traslocato (nemmeno di troppo, 100km) e per quanto ci abbia provato inevitabilmente a quell’età il reset della cerchia sociale è inevitabile. Mi chiedo spessissimo quanto sarebbe cambiato se non mi fossi trasferito
Ho la sensazione che molti di noi abbiano vissuto e/o vivano in questo senso di apatia, di mancanza di gioia anche davanti alle cose belle. Tutti noi che abbiamo vissuto esperienze simili tra anime, videogiochi, fumetti, manga, film...
Non so perché ma realizzare che è un male comune, non mi provoca nemmeno un quarto di gaudio. Anzi mi rende ancora più triste.